Eleganza, esotismo e stile sono le componenti che da sempre coltivano l’immaginazione moderna della cura del corpo nell’antico Egitto. I canoni di bellezza di questa civiltà, tanto misteriosa quanto affascinante, non sono mai passati di moda ma hanno coltivato e influenzato invenzioni cosmetiche che molte donne ancora oggi utilizzano quotidianamente.
Nell’antico Egitto l’uso di prodotti per l’igiene personale e l’ornamento del corpo hanno l’obiettivo di mantenere la persona in uno stato di benessere generale, comunicare il proprio status ma, nello stesso tempo, anche migliorare e valorizzare la propria immagine: le patiche cosmetiche – nate molto prima dell’antica civiltà egizia – assumono in quest’epoca una profonda valenza religiosa e culturale, legando in maniera indissolubile il rapporto tra scienza e arte cosmetica e dando vita a un nuovo significato alla parola bellezza.
Bellezza divina
Qualche forma d’arte esiste in ogni parte della Terra, ma la storia dell’arte in quanto tale, come sforzo continuo e costante, inizia nel momento in cui l’uomo, come essere sensibile e ingegnoso, sente il bisogno di tramandare la propria conoscenza da maestro ad allievo. Una tradizione antica e diretta che prende vita nella fiorita e fervida valle del Nilo circa cinquemila anni fa dove sono testimoniate le prime vere e proprie botteghe a cui fanno capo veri e propri artisti.
Egitto, paese delle Piramide e dei faraoni – esseri divini -, perfettamente organizzato, delle mummie e degli scultori, che venivano letteralmente considerati come “coloro che tengono in vita”. E sì, perché i ritratti, nell’antico Egitto, avevano proprio la funzione di mantenere il ricordo della persona nel tempo, mantenerne la solennità, attraverso una linea essenziale e, nonostante la rigidezza di queste sculture, emerge un’armonia e un equilibrio del viso e del corpo perfetto, così da far percepire, ancora dopo millenni, il loro carattere remoto ed eterno.
Intorno al 1340 a. C. visse Thutmose, un capo scultore che visse sotto il regno di Akhenaton, faraone della XVIII dinastia. Perché questo scultore – ne sono vissuti e abbiamo testimonianza di moltissimi artisti di grande calibro – è così importante?
Facciamo un salto di circa 3200 anni e arriviamo in un istante al 1912, quando la Società Orientale Tedesca, scavando tra le rovine di Akhetaton (la città costruita dal faraone), rinvenne l’abitazione e il laboratorio di uno scultore. Non solo: tra un cumulo di rifiuti all’interno del cortile dell’abitazione stessa, venne ritrovato un oggetto in avorio dove vi era inciso il nome Thoth – ms – s e seguito dai titoli di Favorito del Re e Maestro dei Lavori. Ed ecco che proprio lì, all’interno di questa bottega, indenne, bellissimo, ricco di dettagli e ancora impregnato di colori vivaci, fu trovato il busto di Nefertiti.
Allora il busto colorato fu sollevato e noi ci trovammo tra le mani l’opera d’arte egizia più piena di vita. Era quasi integro, solo le orecchie erano danneggiate e all’occhio sinistro mancava l’intarsio
Ludwing Borchardt (archeologo tedesco a capo della spedizione).
Lì a terra apparve un profilo di donna perfetto, aureo, intatto dove si esprime al meglio non solo l’arte egizia, ma la cura e l’importanza di adornare e valorizza il viso con quello che noi oggi definiamo make-up. Il nome Nefertiti significa “la bella che è arrivata”, per cui si pensa che sia stata una principessa giunta in Egitto da terra straniera, ma l’unica cosa di cui siamo certi è la sua bellezza. Oggi il suo volto è diventato uno dei più conosciuti dell’antichità, mentre quelli di suo marito fu quasi subito dimenticato nonostante cambiò la religione in Egitto introducendo il dio Aton e facendo costruire una città dove trasferì la capitale del regno. La regina indossa una corona tradizionale blu, indicata come corona a elmo, con una fascia dorata sulla fronte e avvolta da una striscia colorata che incornicia il centro della parte superiore e fermata da un inserto a corniola circondato da due ombrelli di papiro. I colori sono esplosivi, intensi, forti: giallo, rosso, azzurro e verde che meglio si esprimono nella rappresentazione del diadema e delle pietre preziose. Al centro il simbolo reale – Ureo – mentre sulla nuca di Nefertiti ricade dal bordo della corona un nastro rosso. La simmetria del viso è qualcosa di devastante e geometricamente perfetto, ma non fastidioso, anzi. Il suo fascino è da attribuire soprattutto allo sguardo, vivace, penetrante, indimenticabile. L’occhio destro che conserva ancora la pupilla rivela l’uso del cristallo di rocca, che rende l’opera stilisticamente molto realistica, rivolgendosi direttamente allo spettatore. Il collo è lungo, forte, con i muscoli in tensione a sorreggere il copricapo e lei, Nefertiti, terrena e divina nello stesso tempo, appare e affascina, strega e poi abbandona chi la guarda, perché in quest’opera si ferma tutto e noi, umili spettori, non possiamo fare altro che inchinarci virtualmente a suo splendore alla sua forza.