Un piccolo prontuario di adeguatezza linguistica, utile al fine di una comunicazione corretta anche all’interno del centro estetico.
Le parole sono importanti. Incidono sia sulla qualità del nostro pensiero – al punto che, secondo qualcuno, non possiamo ragionare senza le parole – sia sull’efficacia della nostra comunicazione. Quel che non è riuscita a fare la scuola dell’obbligo non potrà farlo un breve corso di Cultura Generale: così ragionavo dieci anni fa, al mio battesimo nella formazione professionale. Difficoltà grammaticali, lessicali e discorsive hanno cause profonde e incerte. Altrettanto complesse appaiono le strade da percorrere alla ricerca di una soluzione. Nelle poche ore a mia disposizione ho deciso di concentrarmi sull’uso della lingua: formare le allieve a esprimersi rispettando le consuetudini sociali degli adulti e della sfera professionale, mettendo a punto un prontuario di adeguatezza linguistica. Uso qui il concetto di consuetudine nella sua accezione normativa: qualcosa che è ripetuto e percepito come obbligatorio.
Per raggiungere questa adeguatezza, occorre anzitutto che le allieve considerino l’esistenza di più registri linguistici (colloquiale, informale, formale ecc…). Qualche anno fa questa consapevolezza era spontanea: più si risale il corso del tempo e più i ruoli e le gerarchie risultano chiari e generalmente condivisi. La lingua parlata e scritta ne seguiva rigorosamente la fisionomia. Oggi l’arretramento del concetto di autorità si riflette sulla comunicazione e sulle parole, che per la Generazione Z si appiattiscono su una dimensione sempre più orizzontale e sciatta. La più gran parte di datori di lavoro, fornitori e clienti appartiene tuttavia alle generazioni precedenti: quando è oltre misura, certa sciatteria disturba. L’uso appropriato del “tu” e del “lei” da parte dei ventenni è sempre più raro, con il secondo che cede rapidamente il passo al primo. Paradossalmente, al Sud resiste anche in qualche nicchia giovanile l’uso del “Voi”: fuori da contesti regionali suona servile, grottesco, persino ironico.
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Non va meglio con la nobile arte del saluto, primo e ultimo contatto con l’altro. Alla lettera, “salutare” è augurare salute. Gli antichi Romani chiudevano le epistole con Cura ut valeas (“Preoccupati di stare bene”). “Ciao” piace al mondo intero ma sul lavoro non è un jolly: può andar bene quando la comunicazione è orizzontale. Da condannare senza appello nella versione mitragliata che impesta i congedtelefonici (“Ciao ciao ciao”). Spesso, per togliersi d’impaccio, le ventenni abbondano di “Salve”, credendolo un passepartout. Non lo è: sbrigativo come il “Ciao” senza però averne la bonomia, “Salve” è scelto per non scegliere, per ignorare il rapporto con l’altro, tanto che non si presta a essere seguito da un nome, a pena di spaventose cacofonie. L’obiettivo è usare con la giusta disinvoltura forme di saluto augurali come “Buongiorno”, “Buonasera” e “Arrivederci”.
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Al saluto segue la presentazione. Occorre allora spiegare che in società si usa dire e scrivere nome e cognome in rigoroso ordine, con l’unica eccezione degli elenchi. “Piacere, Rossi Giovanna”: l’effetto è caricaturale e depone a netto sfavore in qualsiasi incontro, presentazione, selezione. Per lasciarne memoria, ricorro all’aneddoto sul professor Carducci, che rifiutò di ascoltare un candidato presentatosi all’esame con cognome e nome. A proposito di elenchi: è sconsigliato iniziarne uno a meno che non si sia certi di portarlo a termine. Proclamare che un trattamento agisce sull’inestetismo in cinque modi esige di spiegarli tutti, non uno di meno. Più opportuno, allora, riferirsi a una “molteplicità di soluzioni”, a “diversi” o “numerosi” risultati attesi.
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Verba volant scripta manent è certamente vero e per questo mi dedico, tra le altre cose, a insegnare come si scrive una e-mail. Orazio, però, ci ricorda che “Nescit vox missa reverti”: la parola pronunciata non torna indietro (“Voce dal sen fuggita, poi richiamar non vale” ha scritto Metastasio). Per questa ragione la lingua orale, non meno di quella scritta, va scelta con molta cura.