I cosmetici possono aiutarci a stare meglio, anche perché il “neo-rinascimento” cosmetico tiene in considerazione tutti i cinque sensi in un concerto polisensoriale che sta caratterizzando tutte le nuove formulazioni di un certo livello. Livello elevatissimo, poiché dalla pelle al cervello il passo è breve.
Truccarsi, da sempre, è un modo per estendere la propria capacità di espressione, ricercando un più facile successo nelle relazioni, ma se poi dietro c’è il vuoto, il cosmetico rischia di diventare una scorciatoia, un artificio per inventare, in modo meccanico, una personalità. Il cosm-etico, invece, rappresenta uno strumento tecnico e migliorativo anche dello stato d’animo, ma secondario alla propria personalità, unica, irripetibile e ribelle. E se il cosmetico abbraccia tutti i sensi, è o potrebbe essere considerato una vera opera d’arte e l’estetista che lo interpreta con intelligenza diventa artista a tutto tondo.
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PSEUDO BELLEZZA
Poeti, artisti e filosofi da sempre si sono interrogati su cosa significasse la bellezza, cercando nel piacere offerto dal divino gioco delle linee e delle proporzioni, un mezzo per accedere ai segreti più nascosti della natura, al mistero del Creato, al senso stesso della vita. Una domanda più che mai attuale in quest’epoca dominata dalle apparenze, in cui la bellezza sembra essere rimasta l’unico valore degno di essere professato, in una sottile quanto diabolica associazione con la ricchezza, il potere, il lusso e l’ostentazione. Dalle immagini pubblicitarie alle passerelle degli stilisti, dalle copertine delle riviste ai programmi televisivi, viviamo in un mondo assediato da una pseudo bellezza superficiale, dove l’est-etica ha perso per strada l’etica per trasformarsi in “selfietica” che ha spalancato le porte di un ascensore verso abissi di narcisismo patologico dove le regole della bellezza seguono una legislazione molto rigida. I nuovi comandamenti della moderna “selfietà” stravolgono quelli delle tavole dell’Antico Testamento e in prima posizione svetta senza dubbio il nuovo dogma: “non avrai altro Dio all’infuori di te”, mentre in seconda posizione si trova “vietato invecchiare”. Sono comandamenti della società dell’immagine, dove il corpo ha soppiantato l’anima e l’etica è stata cancellata dalla chirurgia estetica.
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Dell’antica accezione greca del bello, riassunta nell’ideale della kalokagathia, la condizione propria di chi sa coniugare la bellezza (armonia, nobiltà, gloria e splendore) con la bontà (educazione, rispetto dei valori nobili e generosità) oggi non vi è più traccia. Il concetto di bellezza per i Greci era assolutamente divino e le divinità avevano forme umane: il loro corpo, rappresentato sempre giovane e vigoroso, comunicava una bellezza perfetta, incorruttibile nel tempo, immortale, e nella sua rappresentazione mostrava un desiderio irrefrenabile di perfezione nel corpo e nello spirito, quasi a voler divenire belli come gli Dei che idolatravano.
Oggi, invece, i maschi e le femmine posti a modello mediatico indossano patetici mascheroni privi di unicità, appiattiti su mode eteree fatte di sopracciglia disegnate ad ali di gabbiano, labbra pompate e tirate su zigomi da schiacciare come con una racchetta da ping pong, nasini così all’insù che le narici sembrano prese per le spine Shucko. Questa pseudo bellezza è diventata l’imperativo sociale del nostro tempo, al punto da generare malattie immaginarie come la dismorfofobia, ovvero la fobia che nasce da una visione distorta che si ha del proprio aspetto esteriore, che porta poi alla paura di esporsi e di essere giudicati. E coloro i quali non hanno avuto la fortuna di nascere belli, o perlomeno di sentirsi in pace con il proprio narcisismo, hanno il diritto-dovere di fare qualcosa per migliorarsi. Una volta, tanto tempo fa, si chiamava “costruzione di sé”, ed era un faticoso percorso di crescita personale. Oggi invece si chiama semplicemente “ricostruzione” e i senatori di questa metamorfosi sono principalmente i chirurghi plastici che spesso intervengono sul corpo ritoccando i difetti (a volta in maniera veramente artistica). Sempre più spesso, però, per assecondare i pazienti, si adattano a replicare standard imposti dai media (e richiesti dalle loro clienti) per proporre figure in serie alle quali manca soltanto il numero di lotto inciso sotto la pianta dei piedi che ne certifichi il “bulk” di produzione.
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