La vera bellezza è sempre intelligente. Intelligenza deriva da intus-legere, ovvero leggere dentro. L’etimologia di questa parola già ci spiega che, solo leggendo dentro le cose, possiamo trascendere da qualunque stereotipo.
L’intelligenza ci fa comprendere che non c’è vera bellezza se non si riesce ad esprimere la propria unicità, senza dover conformare il proprio aspetto fisico a modelli imposti dalla società e dai media. Adattarsi alle aspettative degli altri, con atteggiamenti di superficialità legati a processi di identificazione, allontana dalla sana ricerca della propria autentica identità. Tutti noi siamo immersi nel sociale e non possiamo farne a meno; ricerchiamo l’approvazione degli altri e per ottenerla siamo disposti a modificare noi stessi, ma spesso non ci rendiamo conto che possiamo essere molto attraenti, anche se il nostro corpo non corrisponde ai canoni imposti dalla moda del momento.
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Il bello, infatti, è il risultato della capacità di ognuno di comportarsi in funzione della propria persona, intesa come totalità di mente e corpo
L‘avvenenza diventa allora il risultato di un ordine intimo che reca un risultato di “bene-essere”, cioè di stare bene, risultato che poi crea fascino. Ciò implica un’autorealizzazione che non si dà necessariamente con il successo professionale, ma è determinata da una scelta di vita conforme ai nostri desideri più profondi. Questo ci permette di evitare la paura del giudizio altrui e il bisogno di riconoscimento. Ma come mai siamo così legati agli stereotipi e al giudizio degli altri? Ci si può svincolare da essi per ambire ad un altro tipo di bellezza? Si può iniziare a pensare a un nuovo, ma nello stesso tempo antico, concetto di Estetica? Aderire a uno stereotipo permette di dare sicurezza a una persona che non intende distinguersi dagli altri, mentre distaccarsene totalmente potrebbe isolare.
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Ma distinguersi con classe e garbo può creare una nuova situazione distintiva. Io, ad esempio, amo vestirmi bene (magari non sempre ci riesco), ma odio esporre i “marchi delle marche”, odio uscire di casa “firmato”. Che senso ha avere impresse nelle asticelle degli occhiali le iniziali di stilisti con i quali non ho nulla in comune? Pubblicizzare ‘B&C’ gratuitamente non ha alcun senso. Indossare una camicia con un cavallino in corsa, a cosa serve? L’unico ricamo che potrei concepire sono le mie iniziali, anche se poi non ne ho ricamata neanche una. Ma facciamo un passo indietro sul significato etimologico di estetica e di bellezza, per comprendere meglio l’evoluzione filosofica di questi concetti e capire se possa esistere un vero e proprio valore dello stereotipo, che faccia sì che ciò che è “bello” sia considerato anche “buono” e venga ben ricompensato.
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BELLO E BUONO
Molti ricercatori hanno dimostrato che i soggetti attraenti sono dotati di molteplici caratteristiche positive. Gli antichi greci lo sostenevano molti secoli fa. In senso etimologico il termine “estetica” viene dal greco aisthetikòs (letteralmente “che concerne la sensazione”), legato al greco: aisthesis, cioè “sensibilità”, nome di azione del verbo greco aisthànomai, cioè “percepisco”. Con il termine “estetica” si può indicare quel settore dell’indagine filosofica che mira alla definizione e alla classificazione del fenomeno artistico, ma, più comunemente ed estensivamente, esso indica anche l’insieme dei fattori richiesti e accettati dal gusto e dal senso della forma. Si definisce dunque “estetico” sia quanto è pertinente all’individuazione del valore artistico che quanto è rispondente al gusto ed al sentimento del “bello”.
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