Di Lorenzo Morelli
Per impartire lezioni in questa materia, è importante optare per un approccio transdisciplinare piuttosto che multidisciplinare, ponendo come obbiettivi lo stimolo delle competenze cognitive, l’educazione alla complessità, l’affinamento del ragionamento critico.
Dieci anni fa, ancora giovanissimo, presi a insegnare cultura generale in un corso di qualifica per estetista, con entusiasmo ma non senza perplessità. ‘Cultura’ è una parola di vasti e incerti confini, familiare e insieme inflazionata: non indica il mero possesso di nozioni o competenze, né è circoscritta a un ambito del sapere. E poi: che cosa rappresenta e cosa vale una presunta “cultura generale”, in una società votata a un sapere frammentato e iperspecialistico? Questo genere di dubbi si sarebbe chiarito strada facendo, insieme ad altri interrogativi prettamente didattici. Mi chiedevo, per esempio, come rendere appetibile una materia che, stando a prevedibili e attendibili indiscrezioni, era vista come un’intrusa sgradita e tutt’al più tollerata. Mi fu chiaro quasi subito che ripetere e sintetizzare in poche ore di lezione interi programmi della scuola superiore – italiano, letteratura, diritto, storia e filosofia, geografia – sarebbe stato impossibile e – ciò che più importa – nulla avrebbe aggiunto alla formazione delle mie allieve. Scarse indicazioni provengono dal legislatore.
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La l.1/90 non approfondisce il concetto di cultura generale, né le indicazioniregionali sono di maggiore aiuto: la materia è immaginata come una variopinta tavolozza multidisciplinare. La ratio si può facilmente arguire: un corso di formazione professionale, inevitabilmente incentrato sulle competenze specifiche di un mestiere, rischia di distrarre completamente l’allieva da ogni altro ambito del sapere. L’insegnamento di cultura generale, allora, fungerebbe da antidoto a questo restringimento del campo visivo, scongiurando lo svilimento dell’allieva a mestierante e del percorso formativo a mera impartizione di protocolli tecnici. Per quanto condivisibile, tuttavia, questo ragionamento non mi ha mai convinto fino in fondo. La valutazione della cultura generale nei test d’ingresso universitari e nei concorsi è dettata da ragioni evidenti: come bagaglio di conoscenze, scolastiche e non solo, essa è preliminare, se non propedeutica, a ogni sapere specialistico. Misurare la cultura generale nella selezione per un percorso post-scolastico o per un impiego lavorativo è un’idea che convince. C’è persino chi, oltranzista, vorrebbe farne vaglio d’idoneità per la vita democratica, legandovi il diritto di voto, o persino di cittadinanza.