Se ho trovato una costante nelle decine e decine di casi che ho seguito in questi anni di professione forense, è stata quasi sempre l’indifferenza o la presunta inconsapevolezza della situazione da parte di famigliari, amici, vicini di casa, colleghi di lavoro e di molti altri. Tutti (forse) sanno, nessuno parla. Cosa possiamo fare e come possiamo agire davanti a una donna che sta subendo una violenza?
Articolo di Laura Satta
Quasi tutti vedevano lividi sul corpo della vittima, tutti sentivano le urla e gli insulti, quasi tutti sapevano bene che c’era qualcosa di grosso che non andava in un certo nucleo famigliare, ma pressoché nessuno ha fatto qualcosa di concreto, salvo pochissime meritorie eccezioni, e teatri domestici pieni delle peggiori brutalità immaginabili sono andati avanti anni, alcuni con lieto fine, altri no. Cosa potevano fare questi amici, questi famigliari, questi vicini di casa e colleghi di lavoro?
Non potevano improvvisarsi psicologi, né avvocati, certamente; potevano, però, non fare finta di non vedere, conquistare un minimo di fiducia, fornire una disponibilità, osservare, avendone la possibilità, l’uomo con cui vive la donna in questione e l’approccio dello stesso con i figli e con la stessa.
Un’attenta osservazione, a volte, svela dettagli e situazioni nemmeno così tanto nascoste.
Chi subisce violenza non lo dichiara di buon grado, anzi: nega con forza, inventa, si prende delle colpe inesistenti davanti all’evidenza. Intervengono forti sentimenti di imbarazzo, di volontà di tutelare il maltrattante, di paura di perdere un apparente situazione di stabilità per andare incontro all’ignoto, soprattutto se vi sono figli piccoli. Se non si sono mai vissute realtà di questo tipo, si fatica davvero a capirne le dinamiche.
Chi per lavoro ha la possibilità di osservare il corpo nudo o seminudo di una donna, come il personale sanitario (che ha perfino l’obbligo di denuncia se sospetta che si sia consumato un reato procedibile d’ufficio) oppure le estetiste, ha indubbiamente una posizione privilegiata per vedere segni sul corpo (lividi, ecchimosi, ematomi, bruciature di sigaretta, fratture, cerotti, bende, ustioni, menomazioni). E una volta che si ottiene una confessione? Oppure quando si ha il convincimento, basato su fatti concreti, che una conoscente o una cliente, potrebbe essere, ad esempio, vittima di maltrattamenti famigliari, cosa si fa? Il primo passo è affrontare l’argomento con delicatezza ed empatia, per poi fornire un sostegno umano ai fini della denuncia, da far sporgere presso qualsiasi Comando Stazione dei Carabinieri o Commissariato della Polizia di Stato.
Non è obbligatorio recarsi negli uffici delle Forze dell’Ordine del paese ove si risiede, e i pubblici ufficiali di qualsiasi presidio sul territorio nazionale sono obbligati ad accettare la denuncia.
Se la persona in questione ammette di essere vittima di abusi, ma non vuole denunciare? É necessario che sia la donna personalmente a presentarsi? Il reato di maltrattamenti in famiglia è un reato “procedibile d’ufficio”, ossia un reato che per l’allarme sociale che desta e per la sua gravità, NON richiede che venga sporta una querela dalla persona offesa; dunque, si avvia un procedimento penale INDIPENDENTEMENTE dalla volontà della vittima di procedere. Se so che c’è qualcosa di concreto e serio che non va in un nucleo famigliare, se ho visto lividi immotivati sul corpo di una persona che conosco, magari in più occasioni, se ho assistito a scene di forte abuso verbale con minacce di morte, se sento che nell’appartamento a fianco si consumano frequentemente situazioni che vanno al di là di una banale lite, se ho addirittura ricevuto una confessione e temo per l’incolumità di qualcuno a me vicino, soprattutto se sono coinvolti minorenni, allora anche io posso fornire il mio contributo recandomi dai Carabinieri o dalla Polizia di Stato e, come persona potenzialmente informata sui fatti, posso chiedere di verbalizzare quanto a mia conoscenza, chiaramente limitando le mie affermazioni a ciò che conosco direttamente o che mi è stato riferito dalla persona e senza formulare accuse specifiche contro qualcuno. Sarà poi compito dell’Autorità Giudiziaria indagare e appurare le effettive responsabilità, sentendo anche le vittime, con modalità riservate e protette. I pubblici ufficiali, anche in questo caso, non possono rifiutarsi di ricevere le vostre dichiarazioni, perché sarà un magistrato che dovrà poi valutarle ed approfondirle.
Forse avrete salvato la vita di una donna o contribuito a cambiare in meglio il futuro di un bambino.


